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Le lingue sabelliche

Quella di ‘lingue sabelliche’ è un’etichetta di creazione relativamente recente, comprensiva delle facies linguistiche cosiddette osco-umbre di attestazione più recente (IV-I secolo a.C.) e di quelle sabelliche arcaiche testimoniate dall’inizio del VI secolo a.C. al V a.C. 

Parlare lato sensu di lingue sabelliche serve a distinguere questo specifico gruppo linguistico dalle varietà finitime latino-falische con cui viene tradizionalmente accomunato sotto l’etichetta di italico.

La documentazione pertinente a queste lingue consta di circa 1000 iscrizioni di lunghezza variabile, da poche lettere ad alcune centinaia di parole redatte in diversi alfabeti: quelli cosiddetti nazionali di matrice etrusca, quelli di origine greca in Italia meridionale e, in età recente, di origine latina. 

Tra le varietà arcaiche, senza addentrarci in questioni teoriche e metodologiche sull’uso dei glottonimi specifici, rientra il sudpiceno, attestato da un gruppo di una ventina di iscrizioni provenienti dal Picenum e dall’ager Praetuttiorum, e la lingua di un piccolo gruppo di frammenti arcaici rinvenuti nella Sabina propriamente detta, che condivide col sudpiceno l’impiego di una varietà alfabetica simile definita sabina. Tale varietà alfabetica è condivisa anche dalle iscrizioni cosiddette capenati, rinvenute nell’omonimo territorio a confine con l’area falisca ed etrusca, che sono di attestazione più recente e fortemente influenzate dalle lingue finitime. Sempre alla documentazione sabellica arcaica sono ascrivibili alcune iscrizioni rinvenute nell’Italia meridionale, che testimoniano le vestigia di una sabellicità arcaica che potremmo definire enotria in omaggio al popolo che anticamente abitava la regione; tra queste la più significativa è quella del cippo di Tortora

Volendo enumerare, invece, le varietà linguistiche più recenti, oltre all’osco e all’umbro, a cui sono dedicate schede specifiche, fa parte dei popoli sabellici la varietà di etnonimi che si addensa tra l’Abruzzo e il basso Lazio tradizionalmente correlati da etichette glottonimiche corrispondenti. Tra queste il marso e il volsco (applicata all’iscrizione di Velletri recentemente considerata umbra), di norma considerate varietà umbre; il peligno, il marrucino, l’ernico e il vestino. Queste varietà sabelliche chiamate anche ‘dialetti centrali’ ci hanno lasciato un esiguo corpus epigrafico, eccezion fatta per quello peligno che consta di una trentina di iscrizioni testualmente e linguisticamente coese.

La documentazione indiretta delle lingue sabelliche è offerta in particolare dalle lingue classiche. Le testimonianze sono sia epigrafiche, come l’iscrizione latina di Caso Cantovio proveniente dal territorio dei Marsi, sia letterarie, rappresentate per lo più da un piccolo gruppo di glosse. 

L’area occupata dalle lingue sabelliche è la più vasta rispetto a quella occupata da altre lingue preromane dell’Italia antica. Questa confina a nord-ovest con l’Etruria, lungo il corso del Tevere, e si estende in Italia centromeridionale con propaggini che arrivano in Sicilia (Mamertini). Si escludono il Latium Vetus, zona propriamente latina, e il Salento, dove si parlava la lingua messapica.

Le estremità più settentrionali dell’area sabellica, attualmente, coincidono con l’Umbria, la Sabina e il Piceno, mentre quelle più meridionali, con la Lucania e la Calabria. 

L’importanza che i popoli sabellici hanno nella storia romana affiora dalle origini di Roma, vedendo i Sabini come attori comprimari nelle prime fasi della monarchia (i re Tito Tatio e Numa Pompilio), fino a tutta l’età repubblicana. Secondo la tradizione, i Latini recepirono alcune istituzioni di diritto religioso e internazionale proprio dai popoli di lingua sabellica, come lo ius Fetiale attribuito agli Aequicoli. 

I fortissimi legami tra i Latini e i popoli sabellici dal punto di vista linguistico sono evidenti nei fenomeni di interscambio e assimilazione legati alla koinè italica, di cui fa parte anche l’etrusco, che si sono stratificati nelle lingue per secoli. Tuttavia, in particolare in seguito alla guerra sociale (91-88 a.C.), l’evento simbolo della rottura definitiva delle relazioni pacifiche tra Roma e i popoli sabellici, la documentazione delle lingue sabelliche ha iniziato a diradarsi, le varietà alfabetiche locali sono ormai del tutto scomparse perché sostituite dall’alfabeto latino e la documentazione linguistica sabellica è sempre più sbiadita e assimilata alla lingua sociolinguisticamente di maggior prestigio: il latino.

Bibliografia

Grammatiche e Dizionari:

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Studi linguistici:

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Sillogi:

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Introduzioni:

- Prosdocimi, A.L. (a cura di) 1978. Lingue e dialetti dell’Italia antica . Popoli e civiltà dell’Italia antica 6., Roma – Padova: Biblioteca di Storia Patria.

 - Poccetti, P. 2020. «Lingue sabelliche», Palaeohispanica 20: 403–494.

 

Ultimo aggiornamento

15.04.2021

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