Le iscrizioni venetiche sono redatte in un alfabeto encorio, sostanzialmente unitario, anche se in varietà cronologiche e areali, elaborato localmente a partire da modelli etruschi, e adattato per adeguare la scrittura alle esigenze della lingua venetica.
L’arrivo della scrittura si colloca nella prima metà del VI secolo a.C.; la matrice etrusca è un alfabeto di tipo settentrionale (il modello è quello di Chiusi), verosimilmente tramite la mediazione dei centri dell’Etruria padana. La trasmissione dell’alfabeto dagli Etruschi ai Veneti avviene a partire da un corpus dottrinale complesso, in possesso dei ‘maestri’ di scrittura etruschi: una pluralità di fonti che comprende l’alfabeto in uso nella scrittura, ma anche gli alfabetari teorici completi, la possibilità della coesistenza di più tradizioni grafiche in uno stesso centro, l’insegnamento orale della scrittura. Si spiegano così le differenze tra l’alfabeto venetico e l’alfabeto etrusco in uso nelle iscrizioni, ad esempio la presenza di o e la riconversione di lettere etrusche con diverso valore per notare le occlusive sonore: t T per [d] (a fronte di θ X per [t]), φ per [b], χ per [g]; oppure scelte apparentemente incongruenti come l’uso di un’unica velare k di tipo etrusco settentrionale ma dei segni per le sibilanti s e ś di tipo meridionale; o ancora, le diverse fogge di θ, senza cerchio esterno o con cerchio.
Attorno alla fine del VI secolo viene acquisita, ancora dal mondo etrusco, la puntuazione sillabica, che è un tratto caratterizzante della scrittura venetica. Nella pratica epigrafica etrusca tale peculiarità grafica si manifesta – tra VI e V secolo – in iscrizioni etrusche di area meridionale (soprattutto Veio e Cere) e campana, ma dopo il V secolo viene abbandonata; nel Veneto, invece, la puntuazione sillabica sarà costantemente conservata nella scrittura, dalla sua introduzione fino alla fine della documentazione venetica, e in tutte le aree, se pur con piccole variazioni locali. Nel venetico la puntuazione sillabica si realizza secondo un principio generale, per cui risultano inquadrate da un punto (antecedente e successivo) tutte le lettere che escono dallo schema ‘consonante + vocale’ o ‘consonante + r/l/m + vocale’; sono quindi considerate isolate, e di conseguenza puntate, le consonanti non seguite da vocale, le vocali iniziali di sillaba, le vocali dopo vocale; accanto a queste regole principali vi è inoltre una serie di sottoregole e di ‘eccezioni’. La puntuazione sillabica riflette una tecnica di insegnamento della scrittura che ha la sua base nella sillabazione; la ratio e l’applicazione della puntuazione, come conseguenza del principio di sillabazione per l’apprendimento della scrittura, trovano nel Veneto un riscontro del tutto eccezionale nelle lamine alfabetiche del santuario di Reitia a Este; qui la trasformazione in votivi delle tavolette alfabetiche usate per l’insegnamento della scrittura ha permesso di conservare la struttura degli esercizi che consentivano di imparare a scrivere tramite la costruzione delle sillabe.
Sempre a partire dalla fine del VI secolo, si differenziano varietà grafiche nelle diverse aree del Veneto (Este; Padova; Vicenza; Veneto orientale e settentrionale). La principale differenza si rileva nella notazione delle consonanti dentali [t] e [d], che diventa un vero e proprio indice della provenienza delle iscrizioni. Il sistema iniziale (con T t = [d] e X θ = [d]) si conserva a Vicenza, assieme a m a quattro tratti; ad Este viene abbandonato il segno T, probabilmente per il rischio che la foggia con il tratto superiore obliquo generasse confusione od omografia tra i due segni; per [d] viene allora adottato il segno etrusco per z, ruotato in obliquo rispetto all’originale, per solidarietà con i tratti obliqui di X. Il Veneto orientale con Altino - ma le attestazioni sono incerte - e l’area del Cadore sembrano presentare lo stesso tipo di Este. Padova per [t] sostituisce θ a croce con quello a cerchio puntato, mantenendo per [d] il segno T, che si presenta obliquo nelle iscrizioni più antiche, e che successivamente viene regolarizzato a croce X.
Altre differenze nelle manifestazioni alfabetiche nel Veneto si realizzano sia come varietà areali, sia come evoluzione di segni nel tempo. Tra i grafi che mostrano realizzazioni variate sono da segnalare soprattutto i segni per a (ortogonale, obliquo, arrotondato, a bandiera, aperto); h (a scala, oppure uguale a i puntato, o a tre tratti uguali); m (a quattro o cinque tratti); f (prevalentemente il digrafo vh ma anche hv, oppure ridotto al solo h in area settentrionale, e forse al solo v in alcune iscrizioni di Padova).
La scrittura nel Veneto presenta comunque una sostanziale unitarietà degli usi grafici, che consente – al di là delle differenze locali e cronologiche – di assumere tutte le varietà come rappresentazioni di un comune ‘alfabeto venetico’. Le iscrizioni venetiche condividono, oltre alla puntuazione sillabica, altri caratteri generali comuni: il testo è dato come sequenza continua, senza divisione tra le parole; la scrittura può andare indifferentemente da sinistra a destra (verso sinistrorso), o da destra a sinistra (verso destrorso), o con alternanza fra i due versi, senza che – almeno a quanto appare - ciò sia determinato da una precisa motivazione; la disposizione della scrittura è spesso in relazione alla forma del supporto (stele, ciottolone, cippo, vaso, etc.), per cui ci sono iscrizioni a ferro di cavallo, a cornici concentriche, a spirale, bustrofediche con alternanza di verso destrorso e sinistrorso.
Con l’avvento della romanizzazione, a partire dal II sec. a.C., all’alfabeto venetico si affianca, nella pratica della scrittura, l’alfabeto latino, che viene usato per epitaffi ancora pienamente venetici per lingua, formulario, onomastica; si manifesta così una volontà di adesione al modello culturale romano, senza che ciò implichi necessariamente l’abbandono della tradizione locale.
Ultimo aggiornamento
18.09.2024